È gratuita per tutti gli operatori sanitari.
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È gratuita per tutti gli operatori sanitari.
I big data sono enormi agglomerati di dati che sono in genere conservati e prodotti da grandi multinazionali quali Google, Amazon, Facebook e così via. Quando se ne parla, si pensa solitamente ad un loro utilizzo commerciale. Un recente articolo dell’Economist, però, ha messo in luce la possibile applicazione dei big data in campo sanitario.
Nelle zone più ricche del mondo, dall’Europa occidentale fino a Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, gli ospedali più importanti funzionano come “grandi enti” che raccolgono molti dati sui pazienti che curano. La loro grandezza, tuttavia, genera non solo lentezza nella somministrazione delle cure, ma nei casi più gravi anche diagnosi sbagliate e potenzialmente mortali.
Un grande passo in avanti si è avuto con l’introduzione della tecnologia medica a vari livelli. Fino ad oggi, ciò è rimasto ad un livello puramente “assistenziale” e tecnico. La portabilità di smartphone e l’esistenza di programmi riguardanti la propria salute hanno permesso di poter raccogliere molti dati in tal senso – dal livello di glucosio alla pressione.
Questi due elementi però devono esser uniti all’accesso ai propri dati sulla salute e alla condivisione di questi con persone di fiducia. Oggi è facile immaginare come l’unione di questi dati li renda “big” e passibili d’analisi da parte di quegli ospedali di cui si diceva prima.
Al momento, le App sulla salute riguardano quei singoli aspetti citati prima. Sono ancora in fase di elaborazione e verifica App più sofisticate. Un’azienda vicina alla Apple, Alphabet, vorrebbe usare i sensori VR per “leggere” gli occhi degli utenti e verificare se vi siano malattie alle cornee.
App più performanti potrebbero esser usate da dalle persone che preferiscono fornire i dati sulla loro salute a persone di fiducia come il proprio medico curante. Esiste però un rischio: più i dati dei pazienti vengono analizzati in cloud o condivisi con aziende diverse, maggiore è la potenziale minaccia di hacking o uso improprio.
È auspicabile in tal senso una legislazione più severa in caso di negligenze o di vere truffe. Un tale rischio, però, non deve bloccare l’unione fra medicina e tecnologia. Un Paese come la Svezia persegue questo obiettivo garantendo ai suoi cittadini, per il 2020, il completo accesso ai loro registri medici; negli Stati Uniti ed in Canada i tentativi in tal senso hanno portato molti pazienti a scegliere cure più “brevi” ed efficaci, sgravando di lavoro gli oberati centri medici.
Trascorrere la seconda metà della propria vita in tranquillità, tra le mura domestiche e in buona salute, rappresenta l’ideale della maggior parte degli anziani. È proprio grazie alla Sanità 4.0 che è possibile servirsi di strumenti di supporto alla sicurezza e all’autonomia degli anziani.
Vivere senza dipendere da altri, soprattutto durante l’anzianità, fornisce un senso di benessere sia ai familiari che alla persona in questione. Evitando malesseri, apprensioni e tutte quelle dinamiche che si instaurano inevitabilmente.
Il caso di studio riportato da Agenda Digitale dimostra che con l’intervento della tecnologia tutto questo è possibile. In che modo?
È stata sviluppato in tale contesto un sistema comprendente un’infrastruttura sensorizzata all’interno dell’appartamento, un canale di comunicazione rivolto al cloud e una serie di algoritmi per elaborare i dati. L’obiettivo era quello imparare a conoscere la persona.
Nel caso specifico sono stati utilizzati dei sensori con protocollo Z-Wave per limitare i costi, si tratta dei sensori adottati negli impianti di allarme. I sensori di presenza, permettono di rilevare la posizione corrente dell’anziano in un ambiente e se possibile suddividere le stanze (distinguendo zone di relax da zone di passaggio: ad esempio salotto e corridoio).
Parola d’ordine “non intrusività”. Affinché questo avvenga e gli anziani percepiscano un’invasione del proprio spazio vitale, le telecamere sono state abolite. Aboliti anche i per sensori fisici da posizionare sul corpo della persona. Entrambi gli strumenti rappresentano un’invasione dello spazio vitale della persona e della sua privacy.
I dati raccolti dai sensori sono poi aggregati considerando zona dell’appartamento e orari con lo scopo di rilevare le attività giornaliere (es: la rilevazione in cucina dalle 19.30 alle 20.30 può indicare un’attività classificabile come cena). Definendo una serie di regole è possibile distinguere attività normali e anomale.
Attraverso un’App specifica la famiglia avrà modo di vedere e monitorare queste informazioni. L’app fornirà inoltre degli elementi riassuntivi di ciò che è accaduto in uno specifico lasso di tempo. Nel caso di anomalie, queste verranno identificate in maniera automatica e in condizioni di alta criticità saranno trasmessi messaggi di allarme, notificati ripetutamente alla famiglia.
Personalizzazione è l’altra parola chiave di questo progetto. Le regole da impostare per monitorare e gestire i sensori devono essere impostate ad hoc e definite in base alle esigenze specifiche della persona.
Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, la digitalizzazione sanitaria rappresenta la risposta e la soluzione ad un accesso alle cure sanitarie sempre più difficile per gran parte della popolazione. Tali difficoltà sono connesse ad una spesa sanitaria stabile, all’invecchiamento della popolazione e ad un aumento delle aspettative di vita.
Così come argomentato da Mariano Corso, Responsabile del comitato scientifico degli osservatori Digital Innovation, durante il convegno di presentazione dei dati dell’Osservatorio, la spesa sanitaria negli ultimi anni è rimasta stabile ed è stata caratterizzata da un aumento a carico delle famiglia. I dati mostrano che nel 2012 tale spesa era pari a 144,5 miliardi dei quali 31 miliardi a carico delle famiglie, nel 2016 si è passati ad una spesa pari a 150 miliardi circa, di cui 34 a carico delle famiglie.
Non dimentichiamo, inoltre, che l’Italia è il paese più vecchio in Europa, con il 21,8% di cittadini over 65 e 6,5% over 80.
Ultimo ma non per importanza, il declino della qualità dei servizi sanitari. Il rapporto Euro Health Consumer Index fornisce accurate informazioni a tal proposito, per nulla promettenti: dal 2015 al 2017 vi è stato un calo dal 14° al 21° posto delle 35 nazioni sancite in Europa. Ed è proprio sulla base di questi presupposti che entrano in gioco l’innovazione digitale e la digitalizzazione sanitaria.
Mariano Corso, durante la presentazione, ha focalizzato l’attenzione sui tre livelli da considerare:
“Dati al centro di tutto” con il “General Data Protection Regulation (GDPR). Il regolamento, in vigore in tutta l’Unione Europea, è considerato il più importante degli ultimi vent’anni.
Di cosa si tratta? Il GDPR garantisce che le aziende a cui affidiamo i nostri dati siano consapevoli dei doveri nei confronti dell’individuo e gestiscano con trasparenza i dati personali dei soggetti.
Lo scopo è quello di proteggere e responsabilizzare tutti i cittadini europei sulla privacy dei dati. Rimodellare il modo in cui le organizzazioni si approcciano ai dati, rispettando il principio di trasparenza, diventa fondamentale.
Si tratta dei dati personali comprendenti tutte le informazioni su un individuo (nome, cognome, indirizzo e data di nascita). Ma si va oltre questo: con l’entrata in vigore del GDPR anche informazioni come indirizzo IP di un computer e dati genetici, sono da intendersi come personali. Ove possibile, l’individuo ha il diritto di conoscere il periodo di conservazione dei dati personali previsto.
Il settore sanitario è sicuramente tra quelli più delicati. I dati in questione sono quelli dei pazienti, che circolano sui portali e sulle piattaforme, per tutte le organizzazioni che si sono (ormai) digitalizzate.
Si tratta di informazioni personali quali nome, cognome, data di nascita e tutto ciò che riguarda il paziente, che ha il diritto di sapere come sono stati raccolti tali dati e per quale fine.
Nel settore della ricerca sanitaria, anche se spesso il nome del paziente è nascosto da uno pseudonimo, il dato è comunque presente e la sua divulgazione rientra in pieno nell’applicazione del regolamento.
Ogni paziente dovrà fornire un esplicito consenso tramite una dichiarazione al trattamento dei propri dati.
Il consenso deve essere inequivocabile, non solo esplicito. Si tratta di un consenso informato del paziente che deve essere manifestato con una dichiarazione o azione positiva che sia inequivocabile. Non è ammesso un consenso tacito o presunto. In caso contrario le organizzazioni devono fare molta attenzione e procedere con cautela. In caso di dati scorretti, il paziente ha il diritto di ottenere una rettifica e potrà, in qualsiasi momento, richiedere l’integrazione di quelli incompleti.
Da poco entrato in vigore, è bene per le aziende sanitarie e non solo tenersi al passo e adeguarsi al nuovo regolamento il prima possibile.